SCARPETTE ROSSE , 300anni prima LO SCOPPIO della PIAGA del BALLO

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    Il bello della vita è...ritrovare la luce in una notte qualsiasi, che sembrava la più scura e decidere che... se la vita ti ha messo davanti una montagna...tu imparerai a volare!

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    Nell’aprile 1845, lo scrittore Hans Christian Andersen pubblicò a Copenaghen uno dei suoi libri di fiabe. Fra queste, ve n’era una intitolata “Scarpette Rosse” – la storia qui:
    C'era una volta una bambina tanto graziosa e delicata, ma che d'estate andava in giro sempre a piedi nudi, perché era povera, e d'inverno calzava zoccoli di legno così grandi che il collo dei suoi piedini diventava tutto rosso e faceva pena a guardarlo.
    Nel centro della città abitava la vecchia madre del calzolaio, che cucì, come meglio potè, un paio di scarpette con vecchie strisce di cuoio rosso. Le scarpe erano un po' goffe, ma l'intenzione era buona: le avrebbe date alla bambina, che si chiamava Karen.
    Karen ricevette quelle scarpette rosse proprio il giorno in cui venne seppellita sua madre, e le indossò per la prima volta. Non erano certo adatte per un'occasione così triste, ma lei non aveva altro, e così vi infilò i piedini e si mise a seguire la povera bara di paglia.
    In quello stesso momento passò una carrozza con una vecchia signora importante, che vide la bambina e ebbe compassione di lei; quindi andò dal pastore e gli disse: "Mi affidi quella piccola, perché possa farle del bene!".
    E Karen credette che il merito fosse delle scarpette rosse, ma la vecchia signora disse che quelle facevano pena e le fece bruciare. Karen ricevette vestiti puliti e graziosi, imparò a leggere e a cucire e la gente le diceva che era carina, ma lo specchio le confidava: "Tu sei molto più che carina, tu sei bella!."
    Un giorno la regina intraprese un viaggio per il paese, e portò con sé la sua bambina, che era una principessa; la gente si diresse tutta all'ingresso del castello e tra loro anche Karen. La principessa indossava un grazioso abitino bianco e era affacciata alla finestra per farsi vedere, non aveva né lo strascico, né la corona d'oro, ma calzava belle scarpette rosse di marocchino.
    Naturalmente erano ben diverse da quelle che la calzolaia aveva cucito per la piccola Karen. Niente al mondo si può paragonare a un paio di scarpette rosse!
    Karen era ormai cresciuta e doveva ricevere la cresima, ebbe nuovi abitini e dovette anche comprare delle scarpe nuove. Il bravo calzolaio della città le misurò il piedino; glielo misurò in casa sua, una casa piena di grandi armadi di vetro con splendide scarpette e stivaletti luccicanti. Tutto era molto bello, ma la vecchia signora non ci vedeva molto bene e quindi non si divertiva affatto, tra le scarpe ce n'era un paio rosso, proprio come quelle che indossava la principessa; com'erano belle! Il calzolaio spiegò che erano state cucite per una contessina, ma poi non erano andate bene.
    "Sono sicuramente di pelle lucida" commentò la vecchia signora "luccicano proprio!"
    "Sì, luccicano" disse Karen, e dato che le andavano bene furono comprate quelle, ma la vecchia signora non sapeva che erano rosse, altrimenti non avrebbe mai permesso a Karen di andare in chiesa per la cresima con le scarpette rosse, cosa che invece fece.
    In chiesa tutta la gente le osservò i piedi, e quando lei percorse la navata diretta al coro, le sembrò che persino i vecchi ritratti dei defunti, che raffiguravano i preti e le loro mogli, con il colletto inamidato e le lunghe vesti nere, volgessero lo sguardo verso le scarpette rosse; e lei pensò solo alle scarpette, anche quando il pastore le mise la mano sul capo parlando del Santo Battesimo, dell'Alleanza con Dio e del fatto che da quel momento doveva considerarsi una cristiana adulta. L'organo suonava in un modo solenne, le limpide voci del coro dei bambini si alzarono lievi e il vecchio cantore cantò, ma Karen pensava solo alle sue scarpe rosse.
    Nel pomeriggio la vecchia signora venne a sapere dai conoscenti che le scarpe erano rosse, disse allora che era stata una brutta azione, che non le si addiceva, e che Karen da quel momento avrebbe sempre indossato le scarpe nere per andare in chiesa, anche se erano ormai vecchie.
    La domenica successiva c'era la comunione; Karen guardò le scarpe nere, poi quelle rosse, poi ancora quelle rosse, e infine se le infilò!
    C'era un tempo bellissimo; Karen e la vecchia signora passeggiavano per un sentiero in mezzo al grano, dove c'era un po' di polvere.
    Vicino all'ingresso della chiesa si trovava un vecchio soldato con una stampella e una lunghissima barba, più rossa che bianca, perché una volta era stata rossa. Si inchinò fino a terra e chiese alla signora se non voleva farsi pulire le scarpe. Anche Karen allungò subito il piedino. "Che belle scarpette da ballo!" esclamò il soldato "state ben salde ai piedi quando ballate" e batté la mano sulla suola.
    La vecchia signora diede al soldato una moneta e poi entrò in chiesa insieme a Karen.
    Tutta la gente che si trovava in chiesa e persino tutte le immagini appese ai muri guardarono le scarpe rosse di Karen, e lei, quando salì all'altare e avvicinò alla bocca il calice d'oro pensò solo alle sue scarpette rosse, e le sembrò che stessero nuotando nel calice stesso. Così dimenticò di cantare il salmo e di recitare il Padre Nostro.
    Poi tutti uscirono dalla chiesa e la vecchia signora salì in carrozza. Karen sollevò un piede per salire dopo di lei, ma in quel momento il vecchio soldato che stava vicino disse: "Che belle scarpette da ballo!" e Karen non potè trattenersi dal fare qualche passo di danza, e una volta cominciato, le sue gambe continuarono a ballare.
    Era come se le scarpe avessero un potere su di lei, e Karen ballò fino all'angolo della chiesa; il cocchiere dovette rincorrerla e afferrarla, poi la mise finalmente sulla carrozza, ma i piedi continuarono a ballare, tirando calci alla buona vecchia signora. Finalmente si riuscì a toglierle le scarpe e i suoi piedi si calmarono.
    Una volta a casa le scarpe furono messe in un armadio, ma Karen non poteva fare a meno di guardarle.
    La vecchia signora si ammalò e si diceva che non sarebbe vissuta a lungo; aveva bisogno di cure e di assistenza e per questo nessuno era più adatto di Karen. Ma in città doveva esserci un gran ballo a cui anche Karen era stata invitata; guardò la vecchia signora che tanto non doveva più vivere a lungo, poi osservò le sue scarpette rosse e pensò che non ci sarebbe stato niente di male: si infilò le scarpe rosse, e fin qui non c'era nulla di male, ma poi andò al ballo e cominciò a danzare.
    Quando volle andare a destra, le scarpe la portarono a sinistra, poi volle inoltrarsi per la casa, ma le scarpe la condussero all'ingresso e poi giù per le scale, per la strada fino alle porte della città. Ballava e doveva continuare a ballare e intanto giunse nel bosco nero.
    Qualcosa luccicava tra gli alberi e Karen credette fosse la luna, dato che era un volto, ma in realtà era il vecchio soldato con la barba rossa che le faceva dei cenni col capo dicendo: "Che belle scarpette da ballo!".
    La fanciulla si spaventò molto e volle gettar via le scarpe rosse, ma queste erano ben salde; strappò le calze, ma le scarpe rimasero attaccate ai piedi, e ballava e non poteva fare altro, per campi e prati, sotto la pioggia e col sole, di giorno e di notte; e proprio di notte era la cosa più tremenda.
    Ballando entrò nel cimitero che era aperto, ma i morti non ballavano, avevano qualcosa di meglio da fare; Karen voleva sedersi sulla tomba di un poveretto, dove cresceva l'amara salvia selvatica, ma per lei non c'era né pace né riposo, e quando si diresse verso la porta aperta della chiesa vide un angelo con un lungo abito bianco e ali che dalle spalle scendevano fino a terra; il suo sguardo era severo e in mano teneva una larga spada lucente.
    "Devi ballare" le disse "ballare con le tue scarpe rosse finché non diventerai debole e pallida!
    finché la tua pelle non si raggrinzirà come quella di uno scheletro! dovrai ballare da una casa all'altra, e dove abitano bambini superbi e vanitosi, devi bussare, così che ti sentano e abbiano paura! Devi ballare, ballare...!"
    "Pietà!" gridò Karen. Ma non sentì la risposta dell'angelo, perché le scarpe la portarono attraverso il cancello, fuori nei campi, per strade e sentieri, sempre ballando.
    Una mattina passò, ballando, davanti a una porta che conosceva bene, dentro cantavano dei salmi e stavano portando fuori una bara, ornata di fiori; allora comprese che la vecchia signora era morta e pensò di essere ormai abbandonata da tutti e maledetta dall'angelo del Signore.
    Ballava e doveva continuare a ballare, anche nella notte scura. Le scarpe la trascinarono tra le spine e sulle stoppie, e lei si graffiò a sangue; ballò oltre la brughiera fino a una casetta isolata. Sapeva che lì abitava il boia e bussò con le dita alla finestra dicendo: "Vieni fuori! vieni fuori! Io non posso entrare perché sto ballando!".
    E il boia le rispose: "Non sai chi sono io? Io taglio le teste ai cattivi, e sento che la scure sta già vibrando!".
    "Non tagliarmi la testa" esclamò Karen "altrimenti non potrò pentirmi dei miei peccati! Tagliami invece i piedi con le scarpe rosse!"
    E così confessò tutte le sue colpe e il boia le tagliò via i piedi con le scarpe rosse; ma le scarpe continuarono a ballare con i piedini attaccati, attraversarono i campi e scomparvero nel bosco più profondo.
    Il boia le intagliò due piedi di legno e due grucce, le insegnò un salmo che cantano i peccatori, e lei baciò la mano che aveva calato la scure e se ne andò per la brughiera.
    "Ne ho abbastanza di scarpe rosse!" disse "ora voglio andare in chiesa, in modo che mi possano vedere" e si diresse con sicurezza verso la porta della chiesa, ma quando vi giunse c'erano le scarpette rosse che ballavano davanti a lei, e lei si spaventò molto e tornò indietro.
    Per tutta la settimana si addolorò e pianse molte lacrime, ma quando venne di nuovo domenica, disse: "Ecco! adesso ho patito e lottato abbastanza! Credo proprio di essere come molti di quelli che siedono in chiesa a testa alta!" e si avviò coraggiosa verso la chiesa, ma non era ancora arrivata al cancello che vide le scarpe rosse danzare davanti a lei, così si spaventò, tornò indietro e si pentì sinceramente del suo peccato.
    Andò allora al presbiterio e chiese di essere presa a servizio; voleva essere laboriosa e lavorare il più possibile, e non le interessava di essere pagata, le bastava avere un tetto sopra la testa e stare in casa di buona gente. La moglie del pastore ebbe compassione e la prese a servizio. E lei si dimostrò laboriosa e riconoscente. Immobile, ascoltava alla sera il pastore mentre leggeva la Bibbia a voce alta. Tutti i bambini le volevano bene, ma quando parlavano di ornamenti e fronzoli e di essere belli come la regina, lei scuoteva la testa.
    La domenica successiva andarono tutti in chiesa e le chiesero se desiderasse andare con loro, ma Karen guardò tristemente le sue stampelle e le vennero le lacrime agli occhi; così gli altri andarono a ascoltare la parola del Signore e lei si ritirò tutta sola nella sua cameretta. Non era affatto grande, ci stava solo il letto e una sedia, e lei sedette con il suo libro dei salmi; mentre lo leggeva con animo devoto, il vento le portò dalla chiesa il suono dell'organo e lei rialzò lo sguardo commosso e esclamò: "Dio mio, aiutami!".
    Il sole si mise a splendere luminoso e davanti a lei comparve l'angelo del Signore tutto vestito di bianco; lo stesso che aveva visto quella notte sulla porta della chiesa, ma non aveva più con sé la spada, bensì un bel rametto verde, pieno di rose, e con questo toccò il soffitto che si alzò altissimo, e nel punto in cui lo aveva toccato apparve una stella d'oro; poi toccò le pareti che indietreggiarono, e Karen potè vedere l'organo che suonava, e vide le vecchie immagini dei pastori e delle loro mogli, e la folla che sedeva nei banchi ornati e cantava i salmi. La chiesa stessa era venuta dalla povera fanciulla, nella sua piccola camera, o forse lei era andata in chiesa; si trovò seduta vicino agli altri domestici del pastore e questi, finito il salmo, alzarono lo sguardo e le fecero cenno dicendo: "Hai fatto bene a venire, Karen!".
    "È stata la grazia!" rispose lei.
    L'organo suonò di nuovo e le voci infantili del coro si alzarono dolci e bellissime! Il sole luminoso arrivava caldo attraverso la finestra proprio sul banco dove sedeva Karen; il suo cuore fu così pieno di sole, di pace e di gioia che si spezzò, la sua anima volò su verso il sole fino a Dio, e lassù nessuno le chiese delle scarpette rosse.


    Sebbene questa a tratti macabra fiaba sia stata esclusivamente frutto dell’immaginazione del suo autore, essa è molto somigliante a un evento avvenuto più di trecento anni prima in Francia: si tratta della Piaga del Ballo, un’epidemia che colpì la città di Strasburgo e di cui al giorno d’oggi sono sempre state date spiegazioni incomplete – a metà fra l’ira divina e la malattia psichiatrica.

    Nel 1518, a Strasburgo, durante un’afosa giornata di metà luglio, una donna di nome Troffea scese per le strade della città e iniziò a ballare. Inizialmente, l’episodio suscitò perplessità e qualche sorriso, poiché non c’era alcuna ragione apparente per cui Troffea dovesse ballare per le strade di Strasburgo – non c’era infatti musica, e non era in corso o prevista nessuna festa; tuttavia, nessuno sembrò dare molto peso alla questione, nonostante il comportamento della donna avesse cominciato a farsi preoccupante.

    Apparve fin da subito evidente che le movenze della donna non fossero una vera e propria danza, ma piuttosto una grottesca imitazione di passi da ballo: i movimenti erano sgraziati e asincroni, non seguivano uno schema ed erano un susseguirsi di scuotimenti, torsioni e giravolte ben poco armoniose.

    La strana danza di Troffea continuò per ore intere, finché la donna non perse i sensi a causa dell’affaticamento; una volta ripresasi, Troffea si alzò in piedi e ricominciò a ballare per le strade di Strasburgo, senza mai riposarsi o rallentare il ritmo della sua danza forsennata, finché, ore dopo, non collassò di nuovo.

    Anche dopo il secondo svenimento, Troffea si rialzò e riprese a ballare; la donna continuò con questo ritmo per giorni, senza mai riposarsi e senza che nessuno riuscisse a fermarla.

    La situazione degenerò rapidamente quando Troffea non fu più l’unica persona a danzare

    ....continua
     
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    Nel giro di una settimana, trentaquattro persone erano scese in strada e avevano iniziato a imitare i movimenti scoordinati della donna, cominciando a ballare senza sosta.
    La maggior parte di esse erano ragazze giovani, ma ben presto le fila dei ballerini si rimpinguarono di uomini e donne di tutte le età, e nel giro di pochi giorni almeno un centinaio di persone danzavano per le strade di Strasburgo.

    Le autorità cittadine si riunirono per prendere provvedimenti. Il caos stava iniziando a diramarsi per le strade della città, molte attività erano state sospese e a ogni ora che passava sempre più persone si univano alla danza. Le autorità pensarono che il modo migliore per far sì che questo ballo frenetico cessasse fosse assecondarlo: fecero dunque sgomberare un’intera area della città adibita a mercato del grano e all’esposizione dei cavalli e qui eressero un’impalcatura di legno dove le persone potessero ballare liberamente – sperando forse di poter liberare le strade contenendo la folla di ballerini in un unico luogo circoscritto. Vennero assoldati dei musicisti affinché suonassero per accompagnare la danza, e dei ballerini professionisti.

    Questa bizzarra decisione, tuttavia, non diede i risultati sperati; bensì, peggiorò di gran lunga la situazione.

    Con il passare dei giorni, sempre più persone si unirono a quella danza forsennata, le fonti parlano addirittura di 400 danzatori in contemporanea, tanto che quasi la metà di Strasburgo si fermò completamente per poter ballare. Non c’era modo di fermare i ballerini: molti di loro continuavano a danzare anche quando erano allo stremo delle forze, o anche quando erano feriti ai piedi o alle gambe, e non si fermavano neppure di fronte a caviglie slogate o fratturate.

    Gli unici momenti in cui essi riposavano era quando perdevano i sensi, per poi rialzarsi non appena riaprivano gli occhi. Ma, dopo poco tempo, non solo il numero dei ballerini iniziò ad aumentare, ma anche il numero di coloro che crollavano a terra per non rialzarsi mai più.
    Molte persone morirono per sfinimento, altre per ictus o attacco cardiaco, o calpestate dagli altri danzatori. Alcune fonti indicano che, durante il picco della piaga del ballo, si arrivò fino a quindici decessi al giorno. Resesi conto dell’errore, le autorità cittadine decisero di fare marcia indietro, bandendo ogni forma di musica dalla città e istituendo punizioni per chiunque ballasse in pubblico, ma queste nuove drastiche misure non ebbero successo.

    La piaga del ballo proseguì per quasi due mesi, fino all’inizio del mese di settembre. A quel punto, le autorità di Strasburgo decisero d’intervenire in maniera ancora più drastica: ormai convinte che i danzatori fossero posseduti da una presenza maligna, riunirono tutte le persone che ancora non avevano smesso di ballare e le costrinsero a uscire da Strasburgo e a recarsi alle porte della vicina città di Saverne, dove li spinsero sulle colline circostanti.

    Su una di queste colline sorgeva una grotta che ospitava un santuario dedicato a San Vito, protettore della danza. I ballerini vennero obbligati a indossare delle scarpe rosse e furono guidati intorno a una piccola effigie di legno del santo.
    Dopodiché, i ballerini vennero rinchiusi nell’ospedale di Strasburgo; pochi giorni dopo, gradualmente tutti loro cessarono di danzare e, così com’era apparsa, la piaga del ballo scomparve per sempre – dopo aver ucciso un consistente numero di persone, il cui numero però non viene specificato in nessuna fonte cittadina.

    Le autorità che si occuparono del caso non furono in grado di fornire spiegazioni plausibili e soddisfacenti alla piaga del ballo. Molti dei sopravvissuti testimoniarono di come non riuscissero in alcun modo a smettere di ballare, pur tentando con tutte le loro forze.
    Questo non fece altro che confermare la credenza dell’epoca secondo cui la piaga del ballo fosse stata una punizione inviata dall’alto e, in particolare, da San Vito.

    San Vito fu un martire cristiano, figlio di un senatore della Sicilia, santo protettore dei malati di disturbi nervosi poiché, secondo l’agiografia, a dodici anni praticò un esorcismo sul figlio dell’Imperatore Diocleziano, che era posseduto da un demone. Ucciso dall’Imperatore irriconoscente, durante il medioevo divenne il patrono dei ballerini a causa della sua invocazione quando si presentava la patologia nota come la còrea di Sydenham, che spinge l’ammalato a movimenti convulsi.

    San Vito era spesso associato al ballo, poiché la tradizione di ballare intorno a una statua del santo il giorno della sua festa era considerata di buon auspicio per l’anno successivo.
    La piaga del ballo venne inizialmente spiegata come l’ira di San Vito, il quale avrebbe voluto punire i peccatori della città di Strasburgo obbligandoli a danzare senza sosta fino alla morte. Questa ipotesi era rafforzata anche dal fatto che la piaga del ballo aveva colpito, negli anni precedenti, non solo la città di Strasburgo.

    Nell’anno 1020, a Bernburg, un gruppo di uomini iniziò a ballare freneticamente e senza riuscire a fermarsi, circondando una chiesa e disturbando così la messa della Viglia di Natale; nel 1237, un gruppo di bambini si diresse danzando da una città all’altra – episodio che diede origine alla leggenda del Pifferaio Magico; circa cinquant’anni dopo, duecento persone iniziarono a ballare sul ponte di un fiume, fino a quando questo non crollò; altri episodi di questa strana epidemia si verificarono in numerosi luoghi nei secoli successivi, fino all’ultima piaga del ballo che colpì Strasburgo.

    Nonostante fosse stata adottata ufficialmente la spiegazione dell’ira di San Vito, alcuni contemporanei dell’epoca cercarono di fornire altre ipotesi a un mistero che rimane a tutt’oggi irrisolto.




    Fonte: www.vanillamagazine.it/
     
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    Alla piaga del santo non credo, a una follia di massa sì, la psicologia ci insegna che tali fenomeni esistono.
     
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